Io l’ho scoperto questa sera, questa sera che sono venuta qui,
questa sera che qui, un po’ profuga, un po’ felice, un po’ confusa,
sono venuta alla mia prima lezione del corso dell’arcobaleno.
E ho scoperto che il blu,
il blu, per me,
è il colore di un ricordo,
il colore di un dolore,
la sfumatura di un sogno,
il sottofondo di una vita.
Nel blu:
mio padre che mi dà uno schiaffo mentre sono al mare, a litigare con mio fratello;
la coperta che ha accolto cucciolo il mio gatto;
le scarpe scollate di Luisa in Scozia,
e della Scozia il cielo senza fine.
Di blu:
la profondità del mare,
le telefonate di Vitor dal Brasile,
e quelle a te nel cuore della notte.
La gente che mi vuole bene.
Le lacrime, i sorrisi, l’allegria di questa mia vita un po’ allo sbando, un po’ sparsa,
alla ricerca disperata di un centro.
Con il blu:
il colore degli occhi di Massimo.
Il colore dei tuoi occhi.
Soprattutto: il colore dei tuoi occhi.
Blu sei tu che non ci sei più.
Soprattutto: tu, che non ci sei più.
Luce. Al fondo c’è la luce.
Ma prima? Cosa c’è prima?
Com’è che i sentimenti nascono, si fondono, si trasformano?
Com’è che dentro,
dentro,
non c’è inizio,
non c’è fine,
ma solo andare?
Solo, continuare?
Resistere.
Come una mano che passa sui ricordi.
Come una mano che quei ricordi sappia prenderli,
fonderli, trasformarli.
Una voce. Una mano.
Presenze che si trasformano.
La tua voce che continua dentro,
che riprende, trasformandola, quella di mio padre.
Verso la luce.
Fino alla luce.
Forse oltre, chissà.
È come se il buco,
un buco,
fosse dentro.
E si apre, si contrae,
respira, si dilata,
prende, prende e prende.
Dicevi che non basta venire al mondo,
per nascere.
Dicevi che si arriva ad un punto,
un punto,
in cui si deve,
è necessario nascere psicologicamente, anche.
Il mio regalo: averti incontrato.
Continuare a portarti dentro, anche se ora,
per ora,
non ci sei.
Ritrovarti nel blu che respira,
nella luce che intravedo,
in queste parole che leggo qui, ad alta voce,
a gente che non sa che sono scritte per te.
Il mio regalo: tornare a te,
dopo la luce.
Valeria Q., 2004
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Questa volta non sei tu, né mio padre, né la voce di nessuno.
Questa volta ci sono io.
Io di luce e di salti.
Io nel ritmo di me stessa,
della musica che ho dentro,
della vita che chiede vita.
Sono donna.
Sono forte.
Sono bimba.
Sarò madre.
Nel mio giallo c’è il calore di me che voglio andare,
che forse vado già, senza fardelli, nel mondo.
Ballando.
Saltando.
Ridendo.
E con le braccia cariche di mele
Profumate di torta e di energia.
Sempre, quindi mai.
Quindi che è giusto un mondo di ingiustizie.
Che è giusto che un padre possa rubare alla figlia il diritto al giallo,
il diritto al sole,
il diritto all’amore perché è amore, e basta.
Sempre. Quindi mai.
Quindi che è giusto che ci sia una donna che paghi
Perché si è fatta schiacciare
Quindi che è giusto che quella donna pianga,
anche se è mia madre.
Sempre. Quindi mai.
Dico bugie? Percorro mie strade? Seguo destini scelti da me?
Sempre. Quindi mai.
Che posso perdonare, superare, dimenticare, forse?
Sempre. Quindi mai.
Valeria |