IL PRINCIPE SENZA PAURA (Jacob e Wilhelm Grimm)
Una fiaba della tradizione popolare tedesca: un principe senza paura alle prese con un gigante e con un castello incantato.
C’era una volta un principe, che non voleva più star in casa di suo padre; e, siccome non aveva paura di nulla, pensò: «Voglio girare il mondo, così non mi annoierò e vedrò ogni sorta di cose». Si accomiatò dai suoi genitori e se ne andò, e camminava dalla mattina alla sera, senza badare dove lo portasse la strada. E gli avvenne d’arrivare alla casa di un gigante, ed era così stanco che sedette davanti alla porta per riposare. E mentre i suoi occhi vagavan qua e là, vide nel cortile il gioco favorito del gigante: qualche palla enorme e dei birilli grossi come un uomo. Dopo un po’, gli venne voglia di giocare, rizzò i birilli e si mise a tirar con le palle; gridava e schiamazzava, quando i birilli cadevano, e si divertiva. Il gigante udì il baccano, s’affacciò alla finestra e scorse un uomo non più alto degli altri, che pur giocava coi suoi birilli. – Vermiciattolo, – gli gridò, – come mai giochi coi miei birilli? Chi ti ha data la forza per farlo? – Il principe alzò gli occhi, vide il gigante e disse: – Babbeo, credi forse di aver le braccia robuste tu solo? Io posso far tutto quel che mi garba –. Il gigante scese, stupefatto lo guardò giocare e disse: – Uomo, se sei di tal fatta, va’ e prendimi una mela dall’albero della vita. – Che vuoi farne? – disse il principe. – Non la voglio per me, – rispose il gigante, – ma la mia fidanzata la desidera: ho girato il mondo per lungo e per largo, e non riesco a trovar l’albero. – Lo troverò ben io! – disse il principe – e non so che cosa debba impedirmi di cogliere la mela –. I1 gigante disse: – Credi che sia così facile? Il giardino dov’e la pianta è circondato da una cancellata di ferro e là davanti sono accovacciate, l’una accanto all’altra, delle bestie feroci, che fanno la guardia e non lasciano entrar nessuno. – Me, mi lasceranno entrare, – disse il principe. – Ma se anche arrivi nel giardino e vedi la mela sull’albero, non è però ancora tua: davanti c’è un anello e bisogna infilarci la mano, se si vuol raggiungere e coglier la mela, e finora nessuno c’è riuscito. – Ci riuscirò ben io! – disse il principe.
Prese congedo dal gigante e se ne andò per monti e valli, per campi e boschi, finché trovò il giardino incantato, tutt’intorno erano accovacciate le belve, ma stavano a testa bassa e dormivano. Non si svegliarono neanche al suo arrivo; ed egli le scavalcò, salì sulla cancellata e giunse felicemente nel giardino. La in mezzo c’era 1’albero della vita e le mele rosse luccicavano fra i rami. Egli s’arrampicò su per il tronco e quando fece per prendere una mela vide un ane11o appeso davanti al frutto, ma ci infilò la mano senza fatica e colse la mela. L’anello si strinse al suo braccio ed egli sentì una gran forza penetrargli all’improvviso nelle vene. Quando ridiscese dall’albero con la mela, non si volle arrampicare su per la cancellata, ma afferrò il gran portone, che alla prima scossa si spalancò con uno schianto.
Egli uscì: il leone, disteso là davanti, s’era svegliato e lo seguì di corsa, non feroce e selvaggio, ma umilmente, come se il principe fosse il suo signore.
Il principe portò al gigante la mela promessa e disse: – Vedi, l’ho colta senza fatica –, Il gigante era lieto che il suo desiderio fosse così presto appagato, corse dalla sua fidanzata e le diede la mela che aveva chiesto. Essa era una bella e accorta fanciulla e, non vedendogli l ’anello al braccio, disse: – Non credo che l’abbia colta tu, se non vedo l’anello al tuo braccio. Il gigante disse: – Non ho che da andar a prenderlo a casa –. E pensava fosse facile toglier con la forza a uno così debole quel che non voleva dare spontaneamente. Gli chiese l’anello, ma il principe rifiutò, – Dov’è la mela, deve esserci anche l’anello! – disse il gigante – se non me la dai di buona voglia, devi lottare con me.
Lottarono a lungo, ma il gigante non poteva nuocere al principe, rinvigorito dalla virtù magica dell’anello. Allora escogitò un’astuzia e disse: – La lotta mi ha fatto venir caldo, e anche a te; bagniamoci nel fiume e rinfreschiamoci, prima di ricominciare –. Il principe, che non conosceva slealtà, andò al fiume con lui, spogliandosi si tolse anche l’anello dal braccio e si tuffò nella corrente. Subito il gigante afferrò l’anello e corse via, ma il leone, che si era accorto del furto, l’inseguì, glielo strappò di mano e lo riportò al suo signore. Allora il gigante si nascose dietro una quercia e, mentre il principe era occupato a rivestirsi, lo prese a tradimento e gli cavò gli occhi.
Ed ecco, il povero principe era cieco e non sapeva come aiutarsi. II gigante si accostò di nuovo, lo prese per mano, come qualcuno che volesse guidarlo, e lo condusse in cima a un’alta rupe. Poi l’abbandonò e pensava: «Ancora due passi, e si uccide cadendo nell’abisso; e io potrò levargli l’anello». Ma il leone fedele non aveva abbandonato il suo signore; lo trattenne per il vestito e a poco a poco lo tirò indietro. Quando il gigante andò per derubare il morto, vide che la sua astuzia era stata vana. «Che uno così debole non lo si possa mandar in malora!» disse fra sé rabbiosamente; prese per mano il principe e lo riportò all’abisso per un’altra via; ma il leone, che s’accorse del malvagio proposito, salvò il suo padrone anche da quel pericolo. Quando furono sull’orlo dell’abisso, il gigante abbandonò la mano del cieco e voleva lasciarlo solo; ma il leone gli diede una spinta, così ch’egli precipitò sino in fondo e si sfracellò.
Il fedele animale allontanò di nuovo il suo signore dall’abisso e lo condusse vicino a un albero, dove scorreva un limpido ruscello. Il principe sedette e il leone si distese e con la zampa gli spruzzò l’acqua in viso. Appena due o tre goccioline gli bagnarono le occhiaie, egli potè di nuovo veder qualcosa; e scorse un uccelletto che gli passò ben vicino e urtò nel tronco di un albero; allora si lasciò cader nell’acqua, vi si bagnò, poi si alzò e volò rasente agli alberi, senza piu urtarvi, come se avesse riacquistato la vista. Il principe ravvisò il cenno divino, si chinò sull’acqua e vi bagnò il volto. E quando si rizzò, aveva di nuovo i suoi occhi, limpidi e chiari, come non eran mai stati.
Il principe ringraziò Dio per quel miracolo e continuò a girare il mondo col suo leone. Or gli avvenne di giungere a un castello incantato. Sulla porta c’era una fanciulla, di bella persona e di viso leggiadro, ma tutta nera. Gli rivolse la parola e disse: – Ah, se tu potessi liberarmi dal malefizio che han gettato su di me! – Cosa devo fare? – disse il principe. La fanciulla rispose: – Devi passar tre notti nel salone del castello incantato, ma nel tuo cuore non deve entrar la paura. Se ti torturano atrocemente e tu resisti senza un lamento, io sono liberata: non possono toglierti la vita –, Disse il principe: – Io non ho paura: tenterò, con l’aiuto di Dio –. Entrò allegramente nel castello e quando si fece buio andò a seder nel salone e attese. Tutto tacque fino a mezzanotte, poi scoppiò all’ im-provviso un gran baccano, e da tutti gli angoli sbucaron piccoli diavoli. Fecero finta di non vederlo, sedettero in mezzo alla stanza, accesero un fuoco e si misero a giocare. E chi perdeva, diceva:– Non è giusto: c'e qui uno, che non è dei nostri; è colpa sua, se perdo. – Aspetta che vengo, tu, là, dietro la stufa! – diceva un altro. Le urla erano sempre più forti, e nessuno avrebbe potuto ascoltarle senza spavento. Il principe restò tranquillamente seduto e non aveva alcuna paura; ma alla fine i diavoli saltarono in piedi e gli si scagliarono contro; ed erano tanti, ch’egli non poteva difendersi. Lo trascinarono per terra, lo pizzicarono, lo punzecchiarono, lo picchiarono e lo torturarono, ma non gli uscì un lamento. Verso mattina sparirono, ed egli era così fiacco da non poter muovere un dito. Ma allo spuntar del giorno gli s’avvicinò la fanciulla nera. Aveva in mano una boccetta con l’acqua della vita; lo lavò con quell’acqua, e subito egli sentì sparire ogni male e una forza nuova penetrargli nelle vene. Ella disse: – Una notte l’hai superata felicemente, ma ne hai davanti altre due –, Poi se ne andò, e mentre s’allontanava egli vide che i suoi piedi eran diventati bianchi. La notte dopo tornarono i diavoli, e ripresero il loro gioco; s’avventarono sul principe e lo picchiarono malto più crudelmente, così che il suo corpo era pieno di ferite. Ma siccome sopportò tutto in silenzio, dovettero lasciarlo; e quando spuntò l’aurora, comparve la fanciulla e lo risanò con l’acqua della vita. E quand’ella se ne andò, egli vide con gioia che era tutta bianca, salvo la punta delle dita. Ora egli doveva superare ancora una notte, ma era la peggiore. I diavoli tornarono. – Sei ancora qui? – gridarono – ti tortureremo da mozzarti il fiato.–. Lo punzecchiarono e lo picchiarono, lo buttarono di qua e di là e gli tirarono braccia e gambe, come se volessero squarciarlo: egli sopportò tutto senza un lamento. Alla fine i diavoli sparirono, ma egli giaceva immobile, privo di sensi: non poté neanche alzar gli occhi per veder la fanciulla che entrava e lo bagnava con l’acqua della vita. Ma d’un tratto scomparve ogni dolore, ed egli era fresco e sano come se si fosse svegliato dal sonno. E quando aprì gli occhi, si vide accanto la fanciulla, bianca come la neve e bella come il sole. – Alzati! – diss’ella, – e per tre volte brandisci la tua spada sulla scala, così tutto sarà liberato –. E quando egli l’ebbe fatto, tutto il castello era sciolto dall’incanto e la fanciulla era una ricca principessa. Entrarono i servi e dissero che nel salone la tavola era preparata e il pranzo già servito. Sedettero, mangiarono e bevvero insieme; e la, sera furono celebrate le nozze in gran tripudio.
(Da Fiabe, trad. di C. Bovero, Torino, Einaudi, 1970).